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La mia testimonianza su don Álvaro del Portillo


di Salvador Aragonés

La 
beatificazione di Álvaro del Portillo, Prelato dell'Opus Dei, mi ha dato molta gioia, ancor più per il fatto che il suo miracolo sia stato riconosciuto in concomitanza con l'annuncio della canonizzazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, due santi che con la loro azione pastorale hanno cambiato la direzione della storia, tanto della Chiesa (Concilio Vaticano II) che del mondo (caduta dell'impero sovietico in Europa).
D. Álvaro del Portillo con San Josemaría il 19 febbraio 1975 in Guatemala
D. Álvaro del Portillo con San Josemaría il 19 febbraio 1975 in Guatemala
Un uomo fedelissimo a San Josemaría
Álvaro del Portillo non fu, dal punto di vista mediatico, un uomo da prima fila. Fu una persona che servì la Chiesa passando inosservato e cercò per tutta la vita di essere fedele, anzi fedelissimo (come giornalista non mi piacciono i superlativi) alla Chiesa, al Papa (ai Papi) e soprattutto al Fondatore dell'Opus Dei, San Josemaría Escrivá, senza fare rumore. Era il suo atteggiamento: servire, passare inosservato, servire con uno sforzo al limite dell'eroismo la Chiesa e in concreto il sacerdozio e il laicato, come dimostrò col suo contributo, ancora poco conosciuto, al Concilio Vaticano II. Seguì qui il consiglio di San Josemaría di "servire la Chiesa come la Chiesa vuole essere servita".

Conobbi don Álvaro negli anni '60 del secolo scorso, e un particolare mi colpì oltremodo. San Josemaría parlava con un gruppo di un centinaio di persone a Pamplona, e a un certo punto davanti alla domanda di uno dei presenti disse senza alzare il tono della voce: "Álvaro, dovremmo rivedere il tal punto degli Statuti dell'Opus Dei". Álvaro del Portillo stava parlando con altre persone a 25-30 metri da San Josemaría, e rispose "Sì, Padre". Io pensai: Lo avrà sentito? Poi mi sono reso conto in altre circostanze simili che, pur essendo occupato in altre faccende, il suo pensiero e il suo cuore erano sempre uniti al Fondatore dell'Opus Dei.

Informò i giornalisti il giorno della morte del Fondatore dell'Opus Dei
Il giorno della morte di San Josemaría Escrivá, il 26 giugno 1975, andai alla sede centrale dell'Opus Dei in viale Bruno Buozzi a raccogliere qualche informazione o dichiarazione tra le persone che allora avevano responsabilità di governo nell'Opus Dei, che ancora non aveva ricevuto la configurazione di 
Prelatura Personale, anche se era iniziato il cammino giuridico verso questa formula canonica. C'era qualche giornalista molto critico nella sala d'attesa vicino a me, fino al punto che voleva andarsene perché, diceva, "qui nessuno ci darà alcuna informazione, vedrete, è tutto segreto".

All'improvviso apparve la figura serena di Mons. Álvaro del Portillo, che era segretario generale dell'Opus Dei. Nessuno lo aspettava. Informò dettagliatamente su come il Fondatore aveva trascorso la giornata quel 26 giugno fino al momento della morte. Mi sorpresero la sua grande serenità e il dettaglio con cui raccontò i fatti fino ai particolari più piccoli. Disse che la mattina San Josemaría era andato al centro delle donne dell'Opus Dei nei dintorni di Roma, chiamato Villa delle Rose, e aveva detto loro che anch'esse "avevano anima sacerdotale", come ha detto il Concilio. Osservò che la Madonna lo aveva ascoltato quando le aveva chiesto di lasciarlo morire "senza dar scocciature" ai suoi figli, e in effetti era morto improvvisamente per un arresto cardiaco. Inoltre Álvaro del Portillo sottolineò una virtù di San Josemaría: l'umiltà. Poi, di fronte alla sorpresa di tutti, ci invitò a vedere il corpo di San Josemaría nella 
Chiesa Prelatizia di Santa Maria della Pace, "per pregare per lui", disse. Il santo era rivestito dei paramenti sacerdotali con una casula rossa e aveva un volto felice. Noi giornalisti restammo impressionati dalla quantità di dati e dall'apertura informativa che ci fu data su questa morte. Erano momenti – ce ne sono stati tanti – in cui l'Opus Dei era criticato da alcuni mezzi di informazione per la sua segretezza.

La famiglia: "il miglior affare del mondo"

Il secondo momento storico che ricordo di Álvaro del Portillo è una riunione che ebbe con un gruppo di fedeli dell'Opus Dei il 12 settembre 1975, alcuni giorni prima della sua elezione come nuovo Presidente Generale dell'Opus Dei, secondo il titolo di allora, quando l'Opera non era ancora Prelatura Personale. Eravamo stipati in una piccola sala della sede centrale. In gran maggioranza eravamo sposati e con figli, provenienti da diversi paesi anche se in buona parte eravamo italiani e catalani. Álvaro del Portillo, con la capacità di sintesi che aveva, volle riassumerci a grandi linee il seme, la dottrina, che Dio ha voluto seminare nel mondo attraverso San Josemaría. 

A noi sposati disse che la cosa migliore che possediamo, "il miglior affare in questo mondo" era la famiglia. Perciò dovevamo amare moltissimo le nostre mogli e i nostri figli. Ci disse che eravamo "cofondatori" dell'Opus Dei, perché avevamo ricevuto direttamente dal Fondatore lo spirito dell'Opus Dei, e questo ci obbligava a trasmettere "integro e inalterato" questo messaggio che era divino, di Dio. Ci chiese anche - tra molte altre cose - che ci raccomandassimo al Fondatore per quello che consideravamo il bene della Chiesa e di quelli che ci circondano. Che cercassimo strumenti, industrie umane. Infine ci ricordò di seguire l'esempio del Fondatore, che aveva tre amori: Cristo, Maria e il Papa.

Álvaro del Portillo, uomo di un'intelligenza e di una capacità di lavoro molto poco comuni, ha saputo passare totalmente inosservato davanti agli occhi del mondo. Sembrava che non facesse niente, e quello che faceva dava l'impressione che chiunque lo potesse fare. Sapeva stare tanto con un cardinale che con un bambino. Ricordo quando ricevette tutta la nostra famiglia, nel 1993. Una figlia di pochi anni disse qualcosa e noi, poiché era piccola, non le abbiamo dato importanza, ma Don Alvaro sì e chiese che la ascoltassimo, perché forse quello che voleva dire era importante, o almeno importante per lei.

Lavorò con discrezione e umiltà

Quando il 15 settembre 1975 fu eletto presidente Generale dell'Opus Dei -io ero allora corrispondente di stampa a Roma- ho voluto raccogliere l'opinione di diversi cardinali e alti ecclesiastici sulla sua figura. E sono rimasto fortemente sorpreso del fatto che nella Curia Romana lo si stimasse molto per il lavoro realizzato e per la sua grande discrezione e umiltà. Ricordo l'opinione del segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, mons. Jérôme Hammer. "Qui in questa Congregazione non abbiamo opinioni, gli faremo un omaggio con la speranza che non abbandoni il suo lavoro qui". Don Alvaro non li abbandonò.

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